Di fronte all’inflazione di post, articoli, video e opinioni sull’8 marzo, credo che questo articolo non si necessario: si vada a leggere qualcosa scritto da una donna se si vuole capire la situazione della donna.
Se proprio il lettore vuole approfondire, allora ecco due brevi riflessioni sulla giornata di oggi. La prima riguarda l’ipocrisia che circonda l’approccio maschile alla cosiddetta “Festa della Donna”. Basta affacciarsi in un ufficio o in una classe per osservare decine di bravi giovani maschi che portano le mimose alle loro colleghe o compagne; fin qui tutto bene, se non che la maggior parte di essi si aspetta qualcosa in cambio e impone ancora una volta la “sceneggiatura della ragazza perfetta”. Se una donna riceve le mimose e non ringrazia a dovere (un bacio, una carezza, uno sguardo tenero) allora è una stronza. Se non le accetta, peggio ancora. Noi maschi spesso usiamo queste occasioni per fare i “cavalieri”, per sentirci dire che siamo buoni, gentili, attenti. Ma il discorso si torce fino a vedere scene paradossali in cui, in una classe di un liceo ad esempio, l’attenzione viene dirottata su quali e quanti bravi maschi abbiano regalato i fiori alle fanciulle, mancando l’occasione per andare più a fondo, riflettere sul nostro comportamento o semplicemente sentire cosa hanno da dire le “quote rosa”. È come se ad una festa di compleanno tutti si facessero i complimenti per i regali portati e nessuno sentisse il discorso della festeggiata.
Dilagheranno in queste ore i piccoli gesti di sessismo benevolo, ovvero quell’atteggiamento tutto maschile di trattare la donna come creatura meravigliosa, fatta di cristallo, un oggetto da proteggere e curare. Detto che questo atteggiamento porta dei piccoli benefici, è necessario specificare che una volta degenerato si traduce in possessività, oppressione e annullamento della personalità della donna, che vive all’ombra di un marito-protettore/carceriere.
Seconda riflessione. Oltre ai fiori, alle belle parole, alle attenzioni, facciamo uno sforzo: ascoltiamo. Ascoltiamo che cosa hanno da dire coloro che non parlano mai. Leggiamo i libri scritti da donne, guardiamo i loro film, facciamo loro domande senza dare risposte. Abbiamo bisogno di questo per capire che cosa si prova a vivere nell’oggettivazione e nell’auto-oggettivazione costante.
Dato che il/la lettore/rice di Prospettive è uno/a che approfondisce, può essere curioso fornire qualche consiglio di lettura. “Io merito” è un romanzo autobiografico scritto da Claudia Burbulea; è una storia di emigrazione di una donna da un padre violento e dalla Romania di Ceaușescu, dove alle botte e allo stupro si aggiunge una situazione di povertà, violenza strutturale e sfruttamento lavorativo. Insomma: è una storia che, come tutta la letteratura, parla anche di noi esseri umani. Alcuni di noi sono capaci di cose orribili, altri (anzi altre) hanno la forza di rialzarsi. L’autrice dice “Io merito” non perché ha sofferto, ma perché è un diritto naturale: ecco, una donna “merita e basta”. Ricordiamocelo anche domani.
Libri come questo feriscono e non si dimenticano, ma è proprio questo ciò che bisognerebbe fare oggi: farsi ferire. Perché c’è pochissimo da festeggiare, molto da capire e tanto, tantissimo da ascoltare.
Sandro Marotta