Madeleine Bourdouxhe (1906-1996), la scrittrice belga di Marie aspetta Marie, sembra un personaggio affascinante quanto la sua protagonista. Nasce a Liegi nel 1906, dove presto il nonno le trasmette la passione per la letteratura e per la filosofia. Ma la vita vera inizia quando la sua famiglia si trasferisce a Parigi per il lavoro del padre, e Madeleine viene a contatto con l’irresistibile vitalità di questa città. Poi il ritorno a Bruxelles, gli studi letterari e i due anni di studio nella facoltà di filosofia. Nel 1927 sposa un professore di matematica e dà lezioni di francese e latino mentre si dedica alla scrittura. Nel 1937 pubblica La donna di Gilles, che riceve un’ottima accoglienza e la colloca fra le scrittrici emergenti. Nello stesso anno inizia a scrivere Marie aspetta Marie, mentre incombe lo scoppio della seconda guerra mondiale. Durante la guerra partecipa alla resistenza, nasconde rifugiati ebrei e piloti inglesi. Partorisce la figlia Marie pochi giorni prima dell’invasione tedesca del Belgio ed è costretta a fuggire dalla clinica con la neonata in braccio. Dopo la guerra si reca spesso a Parigi dove frequenta personalità di spicco come Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Nel Secondo sesso (1949) sono molti i riferimenti alla Bourdouxhe e questo dimostra il sodalizio letterario fra le due. Faith Evans, che dialoga con lei mentre traduce i suoi racconti, riporta che la scrittrice aveva una forte coscienza del suo valore letterario, pur non essendosi mai preoccupata eccessivamente della fama. Fama che arriva tardiva negli anni ’80, quando la Bourdouxhe viene riscoperta.
La prima edizione di Marie aspetta Marie viene pubblicata nel 1943 a Bruxelles, da le Éditions Libris, una piccola casa editrice, che era fuori da ogni sospetto di legame con il fascismo. Il titolo originario era À la recherche de Marie, con un chiaro rimando a Proust, uno degli autori preferiti della scrittrice. Poi, quando il romanzo viene stampato in Francia nel 1989, il titolo diventa Wagram 17-42. Marie attend Marie, con la ripresa di una frase chiave del libro.
La protagonista è una giovane donna estremamente vitale, ma all’inizio del romanzo c’è qualcosa di inespresso in lei, qualcosa che non riesce a compiersi perché nella sua vita non c’è terreno fertile. In una scena Marie si paragona alle donne che la circondano e nota come lei non abbia le loro stesse aspirazioni: se avesse un figlio certo lo amerebbe, ma non aspira a questo come a un ideale. Non ama il lusso, né i ricevimenti, né scegliere la carta da parati; non ha vere amiche e non crede alla felicità. Ma allora Forse non le piace niente, e non aspetta niente… Entriamo nella sua testa mentre si siede al tavolo e si prende la testa fra le mani. Mentre ascolta la pulsazione del suo sangue arriva improvvisa la rivelazione:
Marie non ama niente, non aspetta niente?
Marie ha il cuore gonfio di amore. Marie aspetta Marie.
Aspetta cioè una nuova sé, una sé più completa. E Marie arriva, e arriva quando arriva l’amore istintivo e inspiegabile. Marie è sposata e ama profondamente il marito Jean, ma lui non comprende i suoi lati più profondi e non sa darle quell’amore di cui lei ha una profonda sete. Bastano pochi sguardi per innamorarsi del giovane ragazzo incontrato in vacanza in Costa Azzurra e per far nascere un rapporto in cui le parole sono spesso minime, contano il silenzio, i gesti e la perfetta sintonia.
Si siedono sulla sabbia. Potrebbero parlarsi ancora: delle colline lontane che digradano verso il mare, della forma di una villa bianca fra i cipressi. Ma a che serve? Sanno che non c’è niente da dire. Accettano tra loro quel silenzio, la ricchezza, la sincerità di quel grande silenzio. Sanno pure che in quel momento vedono ogni cosa dalla stessa prospettiva e che, per entrambi, quella vela rossa sul mare spicca netta, aspra, crudele come quella cosa che è in loro.
La storia di Marie è rivoluzionaria perché mostra una donna capace di capire quello che vuole, cercarlo e farlo suo al di là delle imposizioni sociali. Dopo l’incontro con il giovane Marie inizia un percorso di autoanalisi in cui prende coscienza delle catene che frenano la sua vita e di cui lei stessa si è circondata. Una vita che ruota intorno a quella del marito, dei genitori e della sorella, così diversa da lei. La protagonista è estremamente cosciente di sé, crea la realtà che la circonda con le sue mani, ma esercita anche un eccessivo controllo su di essa; e a un certo punto se ne rende conto, capisce di aver vissuto minuti, ore, anni, densi, belli, perfetti, ma solo perché ne ha avuto il controllo, solo perché li ha costruiti lei. Ora Marie è pronta a lasciare le redini e a mettersi a cercare a mani libere. E la ricerca la conduce a seguire l’istinto, a soddisfare quel nuovo desiderio nato in lei. Faith Evans ha parlato di intransigenza del desiderio e credo non ci siano parole più adatte per descrivere ciò che guida il romanzo. Ma è Marie stessa a guidarlo: una donna che agisce per la sua felicità, anche andando verso il rischio di perdere tutto ciò che ha.
Marie è coraggiosa ed è forse stupita dal suo stesso coraggio nel chiamare il numero lasciatole dal giovane. Ma non solo nell’amore Marie mostra la sua audacia, ma anche nel difendere la sua dignità personale. Denis, suo vecchio compagno di università, le offre di scrivere articoli per una rivista femminile, ma l’incontro lavorativo fra i due è solo un pretesto meschino per sedurla. Marie non si lascia intimorire, anzi piena di sdegno rifiuta il lavoro, che le richiede oltretutto un notevole abbassamento del livello culturale di ciò che potrebbe scrivere. Fa aprire le tende nella stanza di Denis e gli fa notare che probabilmente il loro incontro sarebbe andato diversamente se lei avesse trovato un’atmosfera più consona a un incontro lavorativo. Alla fine lui rimane incapace di reagire ed è anzi ammirato dall’improvviso svelamento di Marie.
Marie è quindi un modello di donna estremamente positivo, perché attivo, ottimistico e vitale. Esattamente il contrario della sorella Claude, che tenta il suicidio. Claude è incapace di agire e aspetta semplicemente che ciò che desidera arrivi; non ha capito –come le dice Marie- che Tocca a te amare, vivere. E che bisogna Esigere dalla vita, cioè da se stessi.
A fare da specchio alla vitalità della protagonista ci sono i viali, i cafè, il rumore di una Parigi lucente; non la Parigi turistica, ma la Parigi vissuta dai suoi abitanti. Marie cammina spedita per i boulevard di Parigi e si sente in sintonia con se stessa e il mondo. Cammina e agisce istintivamente: la vediamo saltare il pranzo per poi sedersi a un caffè e ordinare una brioches, e poi ancora un panino. La vediamo salire su una giostra e stabilire un contatto semplice e sincero con il ragazzo che la mette in moto. Ancora, dopo l’incontro con il ragazzo, non torna a casa, ma cammina a lungo per le strade della sua città non pensando a niente; pensando solo al presente. Poi, si siede per la prima volta in vita sua a cenare in un ristorante da sola, e lascia che il gusto forte della carne e del vino le scaldino il corpo e riportino alla memoria i momenti appena vissuti. Marie insomma sa e impara a vivere pienamente, a stare immersa nel presente senza preoccupazione per il futuro. Ed è proprio su questa meditazione uno dei più intensi passaggi del libro, che ci mostra Marie affidarsi completamente a ciò che sente:
Ma io ti amo. Non te lo dirò. Lo dico a me stessa. Perché dovrei porre un freno a ciò che è così potente dentro di me? Ti amo. Forse per un tempo brevissimo, forse per sempre. Nessuno lo sa. Nell’amore non ci sono né perfezione né eternità prestabilite. L’amore batte secondo le pulsazioni del tempo, come battono tutte le cose viventi. Si rafforza o si sgretola, declina e si risolleva. Se è vivo può morire. Ed è questo il suo bello. […] Lotta e protezione, lotte congiunte del corpo e del cuore. Sconfitta o vittoria di un’ora sull’ora precedente… Andare avanti passo dopo passo… Rischi. Bellezza immutabile di un amore eterno e perfetto? Bellezza tragica di un amore che muore? Bellezza folgorante di un amore che nasce? Vertigine di un mondo nuovo… Sì, conosco… Ma a tutte queste bellezze ne preferisco un’altra. Non è né immutabile né folgorante né tragica: è più gravosa, più ardua, più vera. È la bellezza di un amore non nel momento in cui nasce o in cui muore, ma nel momento in cui vive…
Francesca Torchio