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Decreto flussi: se la destra aumenta la quota di extracomunitari e le imprese vogliono tutta la torta

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Sembra una battuta, ma non lo è affatto: Giorgia Meloni farà entrare più extracomunitari/e in Italia.

Il 29 dicembre 2022 infatti è stato firmato dal presidente Meloni il c.d. “Decreto flussi”: il provvedimento che regola le quote di extracomunitari/e che possono raggiungere la Penisola a seconda dei diversi lavori che andranno a svolgere (stagionale, non stagionale, trasporti, imprenditoria ecc.).

Il Decreto

Nel testo completo della misura (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 gennaio) si legge che è consentito l’arrivo di 82 mila 705 lavoratori e lavoratrici extracomunitari/e per lavoro subordinato o autonomo, stagionale e non stagionale. Ebbene: si tratta di un aumento di 13 mila e 5 unità rispetto all’anno scorso, dove erano stati stabiliti 69 mila 700 arrivi regolari. La destra, tra l’altro, va fortissimo con l’aumento progressivo dell’apertura dei confini già da diversi anni: nel 2019 Giorgetti e Conte avevano siglato il via libera per 30 mila 850 persone (una differenza di 51 mila 855 rispetto ad oggi).

In altri termini: più passa il tempo, più i porti si aprono e l’economia ringrazia. Forse sarebbe anche l’ora di inserire qualche riferimento nella propaganda mediatica a riguardo, giusto come per dire “gli immigrati ci servono e lo sappiamo”, invece di tenerlo nascosto e sottolineare solo i casi di violenza.

L’economia ne beneficia perché si tratta di lavoratori e lavoratrici che contribuiranno al settore della ristorazione, dell’agricoltura, del turismo, dei trasporti e così via per tutti i lavori che noi (giovani o anziani/e) siamo iper qualificati/e per fare.

Le solite imprese

Il problema arriva quando scende in campo il secondo attore, dopo il governo, coinvolto nella vicenda: le imprese che assumeranno questi lavoratori in arrivo. Prendiamo la più nota, quella che rappresenta le attività agricole tutte: Confagricoltura; e prendiamola che insista sul territorio a noi vicino: Confagricoltura Cuneo.
In un comunicato diffuso nei giorni scorsi, la confederazione ha dichiarato che l’obiettivo di tutti i soggetti deve essere quello di semplificare le assunzioni, velocizzarle, insomma fare di tutto perché i contratti siano semplici, vantaggiosi e che la loro
approvazione avvenga prima dei raccolti dei mesi di primavera: “É necessario uno sforzo da parte delle amministrazioni competenti affinché l’iter burocratico per l’ingresso dei cittadini extracomunitari sia il più celere possibile e consenta alle imprese agricole di poter contare su questi lavoratori già nelle prime campagne di raccolta primaverili.”

All’interno del comunicato (http://www.confagricolturacuneo.it/?p=19067) non si fa il minimo accenno alla garanzia contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici, cioè alle condizioni di lavoro, alla retribuzione, al tipo di contratto, alla collocazione nel periodo successivo ai raccolti quando non si avrà più bisogno di braccianti.
Certo non è il compito di Confagricoltura difendere i/le dipendenti, ma un accenno a chi sostiene e produce il tuo profitto credo sia la prerogativa di un’impresa sana, specie se è coinvolto il tema “immigrazione” (anche per la sua immagine pubblica, banalmente).

Ecco però dove sta il problema nelle questioni dei flussi: il vantaggio di una sola parte. Se si continuano a focalizzare tutte le politiche sulle imprese che trarranno vantaggio economico, resterà sempre una disparità sociale, la quale porterà conflitto, a sua volta foriero di scontri ideologici e umorali, che si tradurranno in una propaganda politica sempre più polarizzata (e distante da un compromesso).

La strada di professionalizzare

Di fronte alle richieste di Confagricoltura Cuneo una domanda sorge spontanea: e se si studiassero figure professionali e procedure specifiche per gestire queste importante risorsa, invece di chiedere una semplificazione tutti gli anni? Professionalizzare non sarebbe una strada che andrebbe a vantaggio di tutti? Delle imprese in primis (ma del resto il vantaggio massimo lo hanno anche ora, dato che hanno un potere contrattuale enorme), ma anche di chi lavora, dato che verrebbe tutelato/a dal punto di vista economico e lavorativo, oltre ad avere una spiegazione chiara su cosa andrà a fare e cosa succederà dopo il termine del suo servizio.
Insomma: se invece di discutere su “più migranti meno migranti”, “sì regolari no irregolari” (perché, anche se il Dl flussi ha un’altra natura, alla fine è questo che si legge sui giornali), si guardasse all’aspetto pragmatico che gli spazi istituzionali possono aprire, evitando ritardi, incomprensioni e burocrazia eccesiva?

Ma manca una visione di mondo più ampia del “domani”

La verità è che prima dell’aspetto pratico sarebbe una scelta politica, ideologica anzi, perché riguarderebbe a una visione di mondo in cui viene garantito un equo trattamento e vantaggio per tutte le parti in gioco (non si dimentichi che la floridità di un’impresa agricola dipende dalla quantità e dalla qualità del lavoro dei suoi stipendiati).
Sarebbe una prospettiva animata dalla voglia di costruire un futuro dove non si ha paura di ammettere che la propaganda razzista è stata sbagliata e che gli arrivi (sbarchi, non sbarchi, flussi) sono in realtà una risorsa per tutti, a patto che tutti siano trattati con dignità. D’altra parte ci vorrebbero delle politiche (sia del palazzo, sia delle imprese) che avessero un più lungo respiro, che si estendessero oltre il domani, oltre il “entro il prossimo raccolto”, oltre il “entro il bilancio di fine anno”.

Sandro Marotta

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