Arabella Essiedu è una squattrinata scrittrice londinese di origini ghanesi e sta lavorando alla stesura del suo secondo romanzo. Coinvolta da un amico, una sera si trascina ad una festa, dove viene drogata e stuprata da uno sconosciuto. Il giorno seguente non ricorda quasi nulla e tenta di convincersi che lo stupro sia stato solo frutto della sua immaginazione, finché i referti medici non la costringono a guardare in faccia la realtà.
I may destroy you, la serie targata BBC One e HBO e scritta da Michaela Coel, tratta con una pungente ironia il tema del consenso, affrontandolo in tutte le sue sfaccettature e mostrando le infinite modalità con cui lo stupro possa essere perpetrato.
Nell’immaginario comune lo stupro ha le seguenti dinamiche: un uomo, in una via buia e isolata, prende per i capelli una sconosciuta, la trascina per terra e abusa di lei. La serie amplia questa visione limitata della violenza sessuale, portando sul piccolo schermo esperienze che spesso vengono sminuite sia dalle vittime sia da coloro che le circondano.
È stupro, durante un rapporto sessuale, rimuovere il preservativo senza chiedere il permesso al partner. Questa pratica, chiamata Stealthing, non è solo lesiva della dignità di una persona, ma espone anche a rischi come gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. Per molte persone denunciare questa pratica non è semplice. Spesso non viene riconosciuta come stupro dalle vittime stesse e, anche una volta riconosciuta come tale, c’è il timore di non essere ascoltate dalle autorità e dai centri antiviolenza.
È possibile anche per un uomo essere vittima di uno stupro. Siamo abituati a pensare che le uniche vittime di violenza sessuale siano le donne, ma non è così. Esistono casi di uomini stuprati da donne e, ancor più sovente, casi di uomini stuprati da uomini. È di quest’ultimo caso che si parla nella serie, dando spazio al dolore che consegue a questa esperienza, al timore nel raccontare l’accaduto e alla difficoltà nel denunciarlo, poiché le autorità non sono preparate ad affrontare questi episodi e capita spesso di non essere creduti.
Infine, ci si può accorgere di aver subito uno stupro anche dopo mesi o anni e questo non rende meno grave la violenza subita e meno valido il dolore che questa scoperta porta con sé. Inoltre, è ingiusto addossare colpe alla vittima, accusandola di aver peccato di ingenuità, di non essere stata abbastanza prudente, abbastanza sveglia, abbastanza reattiva. I may destroy you ci propone una narrazione diversa da quelle a cui i media ci hanno abituati: è ora di smetterla con il victim blaming (la colpevolizzazione delle vittime). Poiché il colpevole di uno stupro è solo uno: colui che lo ha perpetrato.
Nonostante il tema del consenso sia al centro della narrazione, sono tanti altri gli argomenti che si intersecano ad esso, a volte solo accennati da battute o brevi scambi, altre volte approfonditi. Si parla di razzismo sistemico, di disparità di classe, di povertà, di solitudine, attraverso personaggi reali e sfaccettati, che non hanno lo scopo di piacere allo spettatore, ma solo quello di mostrarsi in tutta la loro controversa umanità.
Non è presente la dicotomia bene-male: l’unico scopo della serie è raccontare con una sincerità disarmante la società in cui viviamo, in cui non esistono buoni e cattivi, ma problemi sistemici che portano le persone a vestire in determinati contesti il ruolo delle vittime e in altri quello dei carnefici.
La serie si conclude con un inno alla rinascita: non spetta né agli autori né agli spettatori decidere come Arabella debba affrontare la propria esperienza. Lei è l’unica protagonista della sua vita e ha in mano le redini del proprio presente e del proprio futuro.
Beatrice D’Auria