La politica italiana oggi non è razzista: è classista. Qui su Prospettive, la scorsa settimana, si è pubblicata una breve analisi del Dl flussi, mostrando come la presenza di extracomunitari/e sul territorio sia molto richiesta dalle imprese, ma esclusivamente per il loro profitto. In questo breve pezzo si continuerà quello spunto di riflessione.
A ben guardare la questione immigrazione contiene una contrapposizione di fondo: benessere vs povertà. Il conflitto del discorso politico (fuori e dentro il palazzo) è focalizzato sull’allontanare chi è diverso non per cultura, ma per status economico.
Nessuno (quasi) è ancora razzista à la De Gobineau, cioè contro la mescolanza dei popoli e per la dominazione fondata sulla superiorità biologica. Non lo sono nemmeno i “giornalisti” di Libero come Vittorio Feltri che infatti, alla recente polemica sulle parole di Paola Egonu scrive: “Cara Paola, […] se tiene la bocca chiusa, mi piace da morire”, dopo averla definita “splendida” e “di indubbia bellezza” (Libero, venerdì 10 febbraio 2023, p. 3). Certo si può vedere del machismo becero, ma un razzista puro e duro avrebbe orrore per quella pelle scura.
Oggi invece si è contro l’immigrazione povera, quella degli/lle ultimi/e, dei/lle miseri/e. Non si vogliono vedere immigrati/e sui treni, magari dopo una giornata nei campi, che non profumano di Chanel e non hanno il biglietto, o si vogliono evitare i gruppi di tre, quattro ragazzi/e extracomunitari/e che alle sette di sera dopo il lavoro si ritrovano per chiacchierare e ci disturbano; perché magari loro i soldi per la televisione al plasma non ce l’hanno, e nemmeno l’abbonamento a Netflix né i soldi per la partita allo stadio. Ma quando si tratta del campione o della campionessa di pallavolo, basket o calcio, o del ricco imprenditore o della modella dei night club eccome se piace l’immigrazione.
Ecco: ciò che ostacola una riflessione seria sul tema flussi e sbarchi non è il razzismo, è il rapporto ambivalente che le classi dominanti hanno con la povertà. Da un lato è comoda, perché chi è povero è anche disposto a farsi sfruttare con una paga da fame (“come osi rivendicare, tu che avevi niente e ora hai poco?”), arricchendo così i datori e le datrici di lavoro; dall’altro però, quando non è sfruttabile nei campi, il povero fa proprio ribrezzo a molti. Quando è per strada, vicino alle scuole e sui treni, la povertà diventa il nemico che minaccia il nostro giardinetto di privilegiati, fatto di quieto vivere, profumo, silenzio, zero turbamenti.
Non si tratta, attenzione, solo di far notare il meccanismo perverso di questa economia “meritocratica” in cui se sei in miseria è perché non hai fatto abbastanza per “diventare la miglior versione di te stesso”. Bisogna andare oltre e capire che dopo gli/le extracomunitari/e, i bersagli saranno gli/le indigenti del nostro paese. È attuale, d’altra parte, la questione del reddito di cittadinanza: “perché dare alle persone i soldi di cui si ha bisogno?”.
È questo meccanismo di “addosso al più povero” a doverci preoccupare oltre la questione della razza: dopo i/le poveri/e africani/e ci saranno – e ci sono già – quelli/e del sud, poi i bersagli diventeranno quelli/e della periferia delle città e allora giù di disprezzo anche per loro. Allo stesso tempo ci saranno i/le senzatetto dei portici, quelli di cui si dice “chissà cos’avrà fatto per ridursi così”; perché anche il nostro sguardo è diventato accusatorio, cinico e sempre meno umano. E con sdegno, senza nemmeno un saluto, si passerà oltre, verso un altro nemico, verso un altro ultimo, che forse non oggi, né domani, né tra dieci anni, forse per colpa o per sfortuna, ma prima o poi sarai anche tu.
Sandro Marotta