Iniziamo con una domanda: è giusto che l’espressione artistica sia libera?
Per provare a rispondere a un quesito così grossolano è necessario puntualizzare in primo luogo cosa significhi “giusto”.
Secondo il dizionario giusto è: “ciò che risponde a verità”, “chi o cosa opera e giudica secondo giustizia”. Normalmente però non attribuiamo al termine in questione nessuno di questi significati, conferendogli invece accezioni inerenti la morale. Proviamo dunque a sostituire la parola “giusto” con “accettato” o con “consono ai valori di una società”. Ecco che la domanda riformulata risulta più interessante: è consono, adeguato ai valori della nostra società il fatto che l’espressione artistica sia libera?
La mia pretesa non è quella di trovare una risposta definitiva, ma mi piacerebbe poter affrontare alcuni dei temi pertinenti la libertà in campo artistico soffermandomi in particolare sull’arte figurativa.
Partirei dalla street art, nata negli anni 70 del secolo scorso negli Stati Uniti, è una forma di espressione artistica, di cui la libertà è parte integrante. L’artista esce infatti dai limiti delle tele e delle cornici per esprimersi sui muri delle strade e il suo lavoro è accessibile a chiunque, senza il bisogno di dover comprare un biglietto per accedere al museo in cui è esposto. Questa peculiarità è stata spesso sfruttata da artisti come Keith Haring o Banksy per la trasmissione di messaggi di impatto, di profonda critica sociale, che non a caso vengono definiti graffiti, come i segni sulle caverne degli uomini primitivi. Attraverso la street art si può arrivare a un elevatissimo numero di persone appartenenti a disparate categorie sociali, in altre parole siamo di fronte a una libera e gratuita espressione artistica.
Tuttavia spesso i graffiti sono realizzati senza permesso su muri di edifici pubblici o privati. Immaginate di svegliarvi una mattina e trovare sulla facciata principale della vostra casa affacciata sulla piazza una scritta a caratteri cubitali realizzata con bombolette spray. Quale sarebbe la vostra reazione? Probabilmente non molti ne sarebbero entusiasti. Oppure il graffito potrebbe apparire sul municipio o su un edificio pubblico di grande importanza per la vostra città, magari appena ristrutturato. Vengono pertanto coinvolte nella libera espressione artistica le dimensioni della proprietà pubblica o privata, la personale percezione del bello e non ultimo la valutazione circa l’opportunità di esprimersi in alcuni luoghi con alcuni strumenti.
Valorizzazione o vandalizzazione? In particolare, la tutela della proprietà privata rappresenta uno dei capisaldi della nostra società occidentale: difendere il diritto alla proprietà può limitare l’espressione artistica?
In quale misura un’opera può urtare i sentimenti di individui o di intere comunità? Come bisogna comportarsi nel caso questo accada?
A Londra nel dicembre 1997, alla mostra Sensation della Young British Artists alla Royal Academy of Art l’artista Marcus espone la sua opera Myra. All’apparenza un innocuo dipinto in bianco e nero parzialmente sgranato che ritrae una giovane donna, la tela è in realtà un ritratto di Myra Hindley, accusata negli anni 60 di aver ucciso 5 bambini con il compagno Ian Duncan Stewart. Avvicinandosi al dipinto si possono notare i singoli tasselli che compongono l’insieme formati dalle impronte di mani infantili. E’ un’opera francamente inaccettabile per molti, in particolare per Winnie Johnson madre di una delle vittime di Myra che fondò un gruppo di protesta che per tutta la durata della mostra presidiò la Royal Academy. In seguito al rifiuto dei responsabili di consentirle di esprimere pubblicamente la propria opinione alcune finestre della Royal Academy furono distrutte da due visitatori e sul dipinto vennero lanciati uova e inchiostro. Il rispetto per l’altro dovrebbe limitare l’espressione artistica? La celebre frase di M.L.King “la mia libertà finisce dove inizia la vostra” dovrebbe essere applicata in campo artistico? In questo modo pertanto introduciamo il tema della censura rispetto alla libertà di espressione. Innumerevoli artisti sono stati vittima di questa limitazione in passato e continuano ad esserlo. Anche se all’apparenza ciò non sembra avere molto a che vedere con il tema del rispetto dell’altro, a mio avviso, invece è molto attuale. Infatti come sostiene Luca Beatrice nel suo libro “Arte è libertà? Censura e censori al tempo del web”, nell’ultimo decennio, ci si imbatte in quelle che l’autore definisce censure retroattive. In quest’ottica artisti del passato vengono accusati di maschilismo, sessismo e comportamenti devianti. Se la censura in passato spesso veniva sancita dagli ambienti sociali e politici più conservatori, “nel terzo millennio i maggiori censori provengono dagli ambienti accreditati come i più progressisti” e come sostiene Luca Beatrice evocano una dimensione molto ampia di rispetto.
In altre parole il politically correct arriva a coinvolgere oggi anche l’ambito dell’espressione artistica. Nella mostra Gauguin Portraits del 2019 alla National Gallery di Londra, la stessa voce dell’audioguida domanda se sia il momento di smettere di apprezzare Gauguin a causa delle presunte relazioni sessuali che l’artista ebbe con alcune ragazze minorenni durante i suoi viaggi in Polinesia. La questione apre un acceso dibattito: si giudica l’opera o l’uomo? Ma soprattutto è lecito rivalutare l’arte del passato sulla base della sensibilità del presente? La moralità di Gauguin può essere criticata, ma viene da chiedersi se questa sia una buona ragione per cancellare dalle mostre uno dei pittori più significativi del XIX secolo.
Altro esempio di “censura per rispetto” è il caso di William Waterhouse. Il pittore ottocentesco è stato al centro di polemiche in quanto il suo dipinto “Ila e le Ninfe” viene rimosso temporaneamente nel febbraio 2018 dalle sale della Manchester Art Gallery. Infatti secondo la direttrice Clare Gannaway quest’opera è stata realizzata in un’ottica sessista e maschilista in quanto le figure femminili delle ninfe a petto nudo emergono nel quadro in un’ottica di seduzione. Dopo aver tolto il quadro dalla parete, ai visitatori della Manchester Art Gallery è stata offerta la possibilità di esprimere i propri pensieri lasciando un post it sulla parete vuota. Nella didascalia dove si trovava il quadro si legge: Questo museo presenta il corpo delle donne o in “forma passiva e decorativa”, o come “femme fatale”. Lasciamoci alle spalle questo vecchiume vittoriano! Il museo vive in un mondo attraversato da problemi di gender, di etnia, di sessualità e di classe sociale che ci riguardano tutti. Come possono le opere d’arte parlarci in modo più contemporaneo e pertinente?” La direttrice ha spiegato che lo scopo della rimozione non era quello di censurare un quadro ma quello di unirsi ed aprire un dibattito sulla scia delle campagne femministe #MeToo e Time’s Up, movimenti di opinione a cui sicuramente Waterhouse era estraneo. L’accaduto, anche non trattandosi propriamente di una censura, sottolinea nuovamente il fatto che oggi vengono applicate ed estese letture moralistiche a opere o autori nati sotto tutte altre altre stelle. In seguito all’iniziativa della Manchester Art Gallery un giornalista ha affermato che un tempo l’arte aspirava a verità e bellezza, oggi a uguaglianza e diversità di conseguenza i musei sono diventati veri e propri campi di battaglia ideologici”.
La moralità unita al senso del pudore gioca un ruolo importante nel rifiuto di esporre certe opere artistiche. Infatti, per promuovere le mostre dedicate a Klimt e Schiele in tutta Europa nel 2018, l’Ente del Turismo di Vienna decide di creare dei manifesti dedicati a Schiele, artista solito rappresentare figure non convenzionali all’occhio dell’uomo comune, che vennero distribuiti in diverse capitali. La campagna non fu apprezzata in particolare a Londra e i manifesti collocati nella metropolitana della capitale inglese vennero respinti, anche nella versione in cui alle figure nude venivano pixellati i genitali.
La città di Vienna decise allora di utilizzare la censura a suo vantaggio, con un messaggio intelligente e provocatorio. Le parti intime delle opere di Schiele sono state censurate con striscioni che riportavano il seguente messaggio: “Scusate, vecchio di 100 anni ma ancora audace oggi”. Il capo dell’ufficio turistico “Vogliamo mostrare alla gente quanto fossero avanti rispetto al loro tempo questi grandi artisti che erano attivi a Vienna più di un secolo fa. Oltre a questo, vogliamo incoraggiare il pubblico a notare quanto poco le nostre società siano rimaste aperte e moderne”.
La nostra società è dunque pronta ad accettare un’arte totalmente libera? O meglio rifacendoci all’inizio del nostro articolo: è consono, adeguato ai valori della nostra società il fatto che l’espressione artistica sia libera?
Anna Paruzza