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L’ESASPERAZIONE DEL “POLITICAMENTE CORRETTO”

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È ormai passato un anno di intensissimo dibattito sui diritti civili e sociali (forse più di altri anni passati) che ha visto nascere nuovi movimenti, manifestazioni popolari di portata internazionale, e purtroppo ha vissuto scontri e tensioni pericolose. In seguito a ciò, molte aziende (specie multinazionali), associazioni e altri tipi di imprese, hanno preso posizione nel dibattito.
Posizione dimostrata attraverso comunicati, messaggi formali ed informali, brand, trovate commerciali e pubblicitarie, manifestazioni di solidarietà più o meno disinteressate.


Trascorso il Giorno della Memoria, in un pallido e tiepido spirito di rimembranza, mentre ci prepariamo all’8 marzo contornandolo di discussioni sorte per i “pochi ministri donna”, le “offerte di sottosegretariato di pura facciata alle donne” nel neo – Governo Draghi, la Disney annuncia che, per evitare incomprensioni e malcontento tra gli utenti delle sue piattaforme, procederà (per ora, in attesa di ulteriori sviluppi) con la rimozione di tre “grandi classici” dei cartoni animati dagli account dei bambini fino ai 7 anni, nell’ordine:
“Peter Pan”, reo di appellare i nativi americani “pellerossa”, “gli Aristogatti” che sdoganano in Europa cliché impropri e negativi della cultura asiatica, nel rappresentare il siamese Shun Gon, mentre in “Dumbo” i corvi rappresenterebbero una visione comica e ridicola della schiavitù afroamericana.
Sia chiaro fin da subito: il problema non è Disney, e nemmeno la manovra dell’azienda, che tutela in primis i suoi piccoli utenti e le famiglie di questi. Disney è l’esempio massimo di ciò che sta accadendo.
Il problema risiede nell’obbligo di contestualizzazione storica e spaziale, con le dovute correzioni e censure, che si impone implicitamente anche (e soprattutto) ad ambiti così caratterizzati dall’immediatezza del contenuto trasmesso. Riassunto in breve: il “politicamente corretto” porta inevitabilmente ad una (indebita) selezione e scrematura dei contenuti, ad una mistificazione del racconto storico.
A poco rileva precisare che tale obbligo del “politicamente corretto”, portato sino a questi “estremi”, sorga fisiologicamente dal perverso contesto politico e sociale sfociato in questo anno nelle sue manifestazioni più aspre: il logorante brusio che ogni giorno riempie le nostre teste (anche inconsapevolmente) è assordante, ci condiziona nell’interpretazione e nella comunicazione di tutti i giorni, ed è inevitabile che porti a conseguenze più o meno grandi, sul piano personale e sul piano della comunità.


Un grosso problema, che non riesce ad essere arginato dalle famiglie e dagli educatori, impegnati nello svolgimento di un’educazione “normale”: che non basti più quanto ci è stato trasmesso da insegnanti e genitori, allenatori e istruttori? È difficile pensarlo, ma è altresì legittimo chiedersi se non occorra correre ai ripari e ricalibrare in fretta un modello educativo che possa crescere dei cittadini sani, delle persone coscienziose e consapevoli, e non, perdonate il termine, degli “amplificatori di cazzate”.
Una strategia, questa, che si presterebbe in maniera fiabesca alle accuse di chi, vittima sì di ideologie e regimi di pensiero, ripete dogmi e lancia anatemi che oggi vediamo essere tipici di personaggi della politica grotteschi (invece che fiabeschi), accusando a propria volta gli autori e fautori del/i nuovo/i ipotetico/i modello/i educativo/i di innalzare le basi per un “Nuovo Ordine” (era da 575 parole che aspettavo di usare questo amatissimo titolo dei complottisti di prim’ordine: che liberazione).
Gli stessi geni politici poco fa richiamati (di cui non rendo esplicitamente il nome) commettono il primo logico errore: combattono l’evolversi delle culture e dei costumi opponendo “la tradizione” quale massimo sistema che, però, non definiscono mai e che anzi più di una volta li farebbe cadere in contraddizione (si pensi a concetti quali “la famiglia tradizionale”, “l’istruzione tradizionale” etc.). Dal sistema si divertono ad estrarre la carta che al momento ritengono meritevole di tutela da parte dei paladini del popolo (o del popolo di paladini?).

Gioco semplice, efficace, che implica un notevole risparmio in termini di sforzi sinaptici.
Ed è così che ci ritroviamo a dover tutelare i più piccoli, “sacrificando” prodotti culturali che, in altri tempi, erano integranti (se non addirittura a base) della nostra piccola cultura infantile, senza il bisogno di dover specificare, censurare, limitare e correggere cartoni, film, canzoni, ninna nanne. Pronti per la carrellata? Dalla Sirenetta a Biancaneve, l’ormai in pensione “uomo nero” della ninna nanna, giungendo a dover correggere o censurare la quasi totalità delle canzoni de “Lo Zecchino d’Oro”, per maltrattamento di animali, discriminazione razziale e sessista: le tagliatelle non possono essere cucinate anche da nonno Pino?
Sacrificio necessario? Forse sì, come forma di protezione immediata.

Che non si traduca però in mania di correzione, questa volta rivolgendomi alla cultura dei “+7”, in base ai criteri Disney: i nostri ragazzi devono crescere consapevoli dell’esistenza delle diversità, della possibilità di vivere in armonia le diversità come ricchezza. Suggerirei qui di percorrere inversamente la strada scelta per i piccolini: come terapia d’urto, inasprire i termini, rendendo nette le differenze, le parole, gli orrori, gli errori commessi in passato ed oggi riviventi (o no?) “nell’ovatta” del “politically correct”, che sta trasformando la consapevolezza attiva del passato in assopita e pericolosa riproposizione, sotto forma celebrativa, dei temi che ogni giorno dovrebbero animare l’umanità a muoversi in senso inverso, rispetto ai “signori” sopra indicati.


Il Ministero dell’Istruzione, onde prevenire questo pericoloso ricorrere ad un “ammorbidimento”, dovrebbe disporre delle linee guida con riguardo ad alcuni importanti avvenimenti che seguano l’importante fine della consapevolezza, seppur in maniera “dura e cruda”.
Della Shoah, dell’Apartheid, delle foibe come delle guerre che hanno sconvolto le generazioni dei nostri nonni e bisnonni, bisogna averne un quadro chiaro e concreto, anche se tale consapevolezza passa attraverso una trattazione impressionante e sconvolgente (come d’altronde furono questi eventi).
Bisogna dare più spazio, a livello di tempo, alla trattazione di questi, e non fermarsi al giorno stabilito per la commemorazione.
Eliminare le velleità: discussioni sui numeri, sui “mezzi termini”, sulle funzioni e sul modo, non fanno altro che alimentare continuamente la discussione senza però portare riscontri effettivi, nel concreto.
E lasciamo perdere i cartoni e le canzoni dei bambini: noi adulti vediamo le discriminazioni, le prese in giro, le denigrazioni, i concetti appartenenti ad usi e tradizioni superate all’interno di questi.
Pare quasi che manovre come quella della Disney siano realizzate più per accontentare il capriccio degli adulti (ed il diffuso “politicamente corretto” che si è trasformato in cliché irreale e talvolta tragicomico), che per salvaguardare realmente i più piccoli.

Iniziamo ad insegnare il rispetto, attraverso la consapevolezza e senza aver paura di evidenziare quelle diversità (effettive) che, insieme, portano ricchezza e varietà. Un rispetto che conosce le forme per essere esercitato senza forme: questo sì porterà a azzerare le discriminazioni.

Gabriele Lacanna

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