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Lo schiaffo di Will Smith e lo smarrimento della verità nell’audiovisivo

Tempo di lettura: 5 minuti

 

È spettacolo o verità? Sta succedendo davvero o è tutto uno show? E quali segni ci inducono vero l’una o l’altra interpretazione?

 

Lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock durante la notte degli Oscar 2022, oltre ad essere interessante in sé in quanto oggetto di discussioni etiche e di genere, è anche uno stimolo di riflessione semiotica. Molti spettatori hanno commentato, dopo l’accaduto, “Ma è tutto spettacolo”, “è tutto costruito”, “è show”. Di fronte a queste ipotesi interpretative, un’analisi semiotica può aiutare a tenere insieme tutti i fattori e a rivelare una scomoda verità: davanti al televisore non possiamo dire se ciò che vediamo sia Vero o falso (salvo adottare un approccio filosofico), dato che un qualsiasi tipo di rappresentazione non può essere definita con queste categorie.

 

Per agilità narrativa si analizzerà questo video: https://www.youtube.com/watch?v=qnNPbUReYqY (Il Sole 24 ORE). Per la stessa ragione inoltre non si terrà conto dell’apparato paratestuale (interviste, dichiarazioni, articoli) intorno all’accaduto.

 

Cosa stiamo guardando? Un testo. Un’immagine o una sequenza di immagini è sempre un testo e come tale è composto da un insieme di codici, i quali contengono segni. Noi possiamo osservare solo i segni che si manifestano e, sulla base di questi, formulare una possibile interpretazione riguardo al loro significato. In questo caso, i segni (intesi in senso peirciano) sono di varia natura: espressioni, gesti, parole, camminate, inquadrature ecc. Abbiamo davanti però un testo particolare – un testo filmico – che è detto sincretico, ovvero che utilizza diversi codici (musica, fotografia, illuminazione, oralità, scrittura). Dato questo oggetto, procediamo con l’analisi che avrà come fine la ricerca delle manifestazioni dell’enunciazione (Benveniste 1966) per rispondere alla domanda: è costruito o è improvvisato, è finto o vero?

 

La scena si apre con una mezza figura su Will Smith e la sua famiglia che ridono per una precedente battuta del presentatore, che viene mostrato subito dopo con un’altra mezza figura mentre indica Jada Smith e dice la frase incriminata: “Jada, I love you. G.I. Jane two can’t wait to see it”. La regia si sposta sulla reazione degli Smith: tutti ridono, Will applaude (manifestando un simbolo di apprezzamento). La nostra sceneggiatura della situazione è rispettata: un comico scherza di fronte al pubblico, che applaude. 

 

Nell’ultimo fotogramma però si vede il primo segno che potrebbe far cadere il frame “scherzo di un comico a un membro del pubblico”: Jada alza gli occhi al cielo, sintomo (con un certo grado di arbitrarietà e facendo riferimento a un piano connotativo) di uno stato di insofferenza o disaccordo.

 

A questo punto, mentre vediamo il busto di Rock, uno degli attori della nostra sceneggiatura (Will Smith) si alza. Attenzione: non lo vediamo subito, ma ci è suggerito dall’espressione del presentatore e dal boato del pubblico fuori dai bordi dell’inquadratura. Riconosciamo in questo frangente la suspense attraverso la dialettica tra campo e fuoricampo, che è un codice particolare del mezzo cinematografico. Qualche istante dopo vediamo Smith di tre quarti mentre sale sul palco. Rock continua a ridere e non mostra segnali di sorpresa. La sceneggiatura è ancora rispettata: specialmente nelle cerimonie di premiazione con ospiti importanti, ci aspettiamo che qualcuno salga sul palco.

 

Smith cammina verso il comico, senza mostrare segni di aggressività. Le nostre inferenze (le “scommesse” su ciò che accadrà dopo) ci inducono a scommettere che prenderà la parola, magari per qualche battuta sagace. Invece tutto viene tradito, senza che ci siano stacchi di montaggio, dallo schiaffo di Smith. Il percorso interpretativo viene rotto, generando un certo senso di smarrimento e di sorpresa. Elementi che, tra l’altro, si rivelano essere dei fatti semiotici.

 

Nell’inquadratura successiva, vediamo lo schiaffeggiatore andarsene, quasi sorridendo, per poi rivederlo a mezza figura mentre dice: “Keep my wife’s name out of your fuck**g mouth”. Dal tono e dall’espressione potremmo essere sorpresi, pensando “queste cose non succedono in TV” e riconducendo quella frase a uno scoppio d’ira improvviso e autentico. Tuttavia se abbiamo sufficienti competenze enciclopediche (U.Eco) sappiamo che la televisione può fare ricorso alle parolacce, non raramente. Si pensi al discorso al Golden Globe Awards 2020 di Ricky Gervais o, in Italia, dei numerosi interventi di Sgarbi o Vittorio Feltri. Il codice linguistico della parolaccia e dei toni forti, dunque, potrebbe essere indice di una reazione spontanea, cioè una possibile traccia a sostegno dell’ipotesi “è tutto vero”, ma non è sufficiente per rendere l’interpretazione attendibile semioticamente.

 

Se le parole e i gesti dei protagonisti di questo testo non ci aiutano a ricostruire il percorso di enunciazione (poiché essi potrebbero essere attori di uno show), si potrebbe ricorrere allo sguardo che ci viene proposto dalla regia per osservare la scena. Il punto di vista, che secondo Casetti è l’unico elemento utile a rintracciare i simulacri dell’enunciazione cinematografica, è ancor più problematico dei segni individuati in precedenza. 

 

Come tutti i casi di regia televisiva, che risponde a logiche di dinamicità e coinvolgimento del pubblico in sala e a casa, si tratta di un multicamera directing: si alternano diverse proposte visive a seconda di ciò che succede sul palco, creando una molteplicità di enunciatari. Nel video in esame, anche se noi spettatori non siamo direttamente chiamati in causa con lo sguardo in macchina del presentatore, viene proposto il punto di vista di un membro del pubblico in sala. Questa prospettiva a cui possiamo attribuire un carattere di embrayage (Graimas, Courtés 1979), ovvero di coinvolgimento, illusione di vedere davvero la scena da vicino, suggerisce un carattere di veridicità a ciò che accade. Quindi, lo schiaffo di Will Smith è “Vero”?

 

Sì, dato che nella sequenza del “ceffone” non ci sono stacchi di montaggio. Sì, nella misura in cui intendiamo la scena in sé e per sé, senza chiederci quale sia il grado di spontaneità delle figure e dei meccanismi audiovisivi in gioco. In altre parole, senza soffermarci sullo statuto di verità dell’accaduto, ma solo affidandoci al quadrato della veridizione, che individua la verità come qualcosa che è e sembra. I segni (sempre intesi nella prospettiva di Peirce) che ci inducono verso questa interpretazione sono: il suono della mano di Smith che colpisce il viso di Rock, il registro umorale utilizzato da Smith, in qualche misura anche le espressioni facciali dei presenti (posto che esse conservano un notevole grado di arbitrarietà nell’interpretazione).

 

Ma anche no, perché quello che abbiamo sotto gli occhi non è un frammento di realtà, ma una sua rappresentazione. Per di più manipolabile prima, durante (il cosiddetto in-between-production) e dopo la realizzazione. I segni che rivelano la natura testuale – e quindi artificiale – del video sono: il montaggio in sé, l’embrayage (illusione di essere parte della scena), la creazione più o meno volontaria dell’effetto di disgiunzione di probabilità (camminata tranquilla di Smith seguita da un attacco improvviso) che può essere letta in termini di sorpresa, funzionale a maggiore audience e ad innescare il circolo della viralità. L’intera costruzione narrativa della scena ci rivela la natura artificiale della scena: non è un inganno, ma la logica stessa delle rappresentazioni che continuamente ci appaiono sugli schermi.

 

Senza scadere in sentenze del tipo “tutto ciò che la televisione ci dice è falso”, per rispondere alla domanda iniziale (lo schiaffo è stato “vero” o costruito a tavolino?) è bene ragionare in termini analitici, posto che, anche se scoprissimo quale sia la Verità, essa non è l’oggetto dell’analisi semiotica. 

 

È di fronte all’audiovisivo, infatti, che la scoperta dell’impossibilità di risalire all’enunciazione originaria e autentica si fa più disturbante. Come spiegato da Benveniste, ogni enunciazione, nel momento in cui viene emessa, si distacca dal suo autore e “taglia i fili” che la legano alle intenzioni di quest’ultimo. 

 

Tuttavia le immagini hanno la capacità di farsi percepire come oggettive e debrayate, cioè come mero mezzo di cattura del reale, portando l’interprete a considerarle espressioni dirette della volontà dell’enunciatario. In realtà non si deve dimenticare che esse, specie se messe più o meno arbitrariamente in sequenza, sono testi. In quanto tali, la Verità è da intendersi come effetto di senso (come mostrato dal quadrato della veridizione di Greimas e Courtés) e quindi è possibile analizzare solo i segni, le tracce, i simulacri che ricostruiscano insieme un dato significato.

 

Semioticamente, la Verità di quanto accaduta agli Oscar è inattingibile. Tuttavia, se davanti abbiamo un testo che ha messo in scena diversi personaggi (o attori) che hanno compiuto determinate azioni, siamo chiamati a riconoscere in questa rappresentazione dei segni che ci aiutino a capire quanto essa si avvicini alla Verità.

 

La questione “quanto di ciò che sto guardando è manipolato in modo ingannevole e quanto invece è un tratto “innocente”, insito nella logica di tutte le rappresentazioni” è il compromesso epistemologico dei testi.

 

Sandro Marotta 



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