Il Natale, si sa, è sicuramente uno dei momenti più attesi dalla popolazione occidentale.
Siete sopravvissuti al pranzo, al cenone, al panettone o al pandoro?
Siete sopravvissuti ai soliti messaggi di generosità, di amore verso il prossimo, di carità e provvidenza, di pace e redenzione?
Bene, perché se siamo riusciti a mettere (persino noi italiani) in discussione il Mondiale di calcio, forse è giunta l’ora di ragionare sul Natale. Senza troppo discorrere, ma superficialmente. Come piace a noi italiani.
Anche quest’anno si è consumato nel rispetto di tutti i crismi, recenti e non, dettati per il festeggiamento del medesimo.
Chiaramente ognuno vive la festività secondo le proprie tradizioni, ma negli ultimi 30 anni si è assistito ad un processo di omologazione della ricorrenza.
E’ sotto gli occhi di tutti che il Natale ha sempre meno tradizione e sempre più freneticità, dettata dai ritmi del consumo.
Cambia anche la magia, che si è spostata dall’attesa del pranzo insieme alla famiglia, al campanello suonato dal corriere per la consegna dei pacchi (un Babbo Natale concreto, in carne ed ossa); dalla tombola a momento di giocosa competizione (chi a soldi, chi a premi, chi a brindisi; tutti conditi da battutacce ed aneddoti), a pretesto per la 25^ storia Instagram (della giornata, ovviamente).
Cambiano le condizioni: il Natale “per essere più buoni”, “per aiutare gli ultimi”, “per stare uniti davanti al focolaio” è diventato il Natale “per fare shopping”, “per fare il viaggio”.
Tant’è che del Natale, oggigiorno, ci rimangono i resoconti dell’AssoConsumatori, le previsioni delle varie Camere di Commercio, Confindustria, Confartigianato, dell’Agenzia per il turismo e i dati sullo share dei vari programmi televisivi (sapendo già, inevitabilmente, che sul podio troveremo il solito “Una poltrona per due”).
Dati e proiezioni interessantissimi, che lette in una certa ottica portano a galla tutta l’ipocrisia e la mancanza di ideali, di impegno e di reale interesse della nostra società per le questioni che ogni giorno devastano la nostra vita: facciamo finta che non ci appartengano, o che non siano prioritarie, in nome del Natale? Pare (pare) di si.
Proprio nel momento di maggior crisi, energetica, economica, sociale, politica e climatica, il Natale non ha perso i suoi nuovi pilastri, quelli maturati negli ultimi anni: luminarie a giorno dappertutto; spese folli; trasferimenti di massa in località naturali; sovrautilizzo di carburanti, riscaldamenti e veicoli in barba a qualsiasi statistica riguardante il riscaldamento globale; alimentazione continua di un sistema economico che ormai regge necessariamente su uno schema di sfruttamento dei lavoratori, in spregio di ogni diritto (o semplicemente esigenza di un normale essere umano).
Sembra anzi che il Natale sia un modo per rifuggire questo mondo, serva come strumento, rappresenti un luogo dove riparare dalle brutte notizie. Dal mondo odierno, insomma.
Eppure, con questo comportamento, ci si allontana ancora di più dal poter compiere una qualsiasi azione che possa essere utile, in qualsiasi termine ed in qualsiasi ambito si possa applicare il concetto di «utilità».
Ubriacarsi di piaceri, ubriacarsi di consumo, viaggi, regali.
Pochi ormai frequentano la messa cattolica, a conferma del trend ormai calante, per quanto riguarda fedeli e praticanti. Eppure tutti si inebriano di una quantità spropositata di regali, i più magari inutili o non funzionali. Ciò ad ulteriore conferma di quanto il Natale ormai non sia un discorso legato al credo, ma al portafoglio.
Il Natale, soprattutto quest’anno dove si è sbandierata la rinascita della civiltà occidentale, in particolar modo europea, in risposta alla Russia ed alla (in ombra, ma comunque presente) Cina, dimostra come in realtà vi è una diffusa debolezza, sommata ad una terribile capacità di scordare le situazioni di emergenza o di crisi; condita e rafforzata infine da una inquietante dose di fragilità a fronte delle tentazioni di vivere un Natale fin troppo ricco per ricordare lontanamente l’origine ed il significato di questa festa.
In un inverno in cui ci è imposto di tenere i riscaldamenti a basse temperature, magari del tutto spenti, in cui tante strade rimangono totalmente buie, in cui si continua a raccontare della forza della resistenza ucraina al freddo ed al gelo, sotto i continui bombardamenti russi alle infrastrutture energetiche, nell’Europa dove si “combatte” nelle sedi istituzionali per tenere accettabili livelli di prezzo di combustibili e carburanti, era necessario illuminare le città a giorno con le luci natalizie?
In un periodo in cui si parla di settimana lavorativa breve, di tetto salariale, di diritti e dignità dei lavoratori, è necessario acquistare dalle piattaforme online sapendo che il corriere che vi suonerà il 24 sera o il 25 mattina probabilmente non passerà Natale con la famiglia, e se lo farà sarà reperibile al lavoro, avrà appena finito il turno o dovrà a breve iniziarlo?
Quanto ci costa il Natale, in termini di cambiamento climatico e danno ambientale?
Eppure il Natale non è messo in discussione, al di là della sua valenza, religiosa, ideale, politica ed economica.
Nessuno ha voglia di criticarne ormai la completa disfunzionalità in relazione ai nostri tempi?
Oppure è proprio il fatto che sia divenuta talmente aderente alle nostre abitudini, che sia la manifestazione più eclatante di quelle che ormai sono le nostre inclinazioni, a rendere il Natale un talismano della nostra civiltà?
Tornare ad un Natale sobrio, un Natale persino “povero”, festa e soprattutto manifestazione dei valori portati dalla nascita di Gesù (perché in fondo è questo ciò che si festeggia), è ormai impossibile?
Più che la festa della nascita del figlio di Dio, che trasmette e insegna i valori dell’umiltà, della generosità, della premura verso il prossimo (etc. etc., tanto il resto lo sappiamo), sembra essersi tramutata nel Baccanale romano (festa di Bacco). Tanto basta.
Tanti auguri.
Gabriele Lacanna