“Come sei carino, come sei perbene e pulito” non è una frase da dire in tv, in nessun contesto, ma specialmente nell’ambito del Festival di Sanremo. Lì si canta, si porta la propria voce, il proprio talento e la propria arte; non il proprio corpo. La frase in questione è stata pronunciata da Mara Venier al cantante Matteo Romano durante la trasmissione Domenica In-Speciale Sanremo di domenica 6 febbraio.
Prima di spiegare alcune delle ragioni per cui il commento è problematico, è necessaria una premessa a scanso di obiezioni spicciole: quello della conduttrice è una considerazione in buona fede, amorevole, materna (come se di un ragazzo giovane gli adulti si dovessero sempre prendere cura, anche quando non lo conoscono) ma il principio che contiene è sbagliato. L’obiezione “Ma era solo un apprezzamento, erano solo parole” non è valida: le parole non esprimono solo la realtà, esse sono realtà (in televisione in modo particolare). “Come sei cretino” è un insieme di parole, eppure tutti proverebbero fastidio sentendoselo dire. Ogni parola plasma la realtà e ne rivela una parte, per questo commenti come quello della conduttrice di Domenica In sono una possibilità di riflettere su temi più generali. In questo caso di tratta del processo di riduzione della persona a corpo.
Primo problema del commento della Venier: il festival di Sanremo non è un concorso di bellezza e non lo è nemmeno Domenica In, quindi per quale motivo commentare l’aspetto fisico di un artista? In più quella di Romano non era un’esibizione: in quel caso il giudizio poteva essere coerente con un contesto fatto di costumi, portamento e performance scenografica. Si trattava invece di un’intervista (piacevole e appropriata per gran parte del tempo) e l’argomento erano le canzoni portate in gara al ragazzo cuneese. Il commento quindi è fuori contesto.
Secondo problema, legato al primo: è lo stesso meccanismo di chi fa catcalling o di chi, presentandosi a una persona, esprime un proprio giudizio sul corpo dell’altro. In questo caso il commento della Venier rivela un meccanismo ingiusto e fuorviante: con “sei carino, pulito” si sposta l’attenzione dalle parole al corpo, dalla sostanza all’apparenza, dal talento all’aspetto fisico. Si immagini Amadeus che, dopo aver intervistato Rossella Brescia e averle chiesto della sua passione per la danza, avesse detto in chiusura: “Ciao Rossella, come sei carina, hai proprio un bel viso!”. Il giudizio estetico insiste sull’idea che se sei bella/o ce la fai, se hai un bel viso piaci, se hai un bel corpo qualcuno ti noterà. E del talento, della voce, delle parole, della cultura che si possiede? Chiose come quella della conduttrice mettono tutto da parte, facendosi invece veicolo silenzioso di stereotipi e di associazioni mentali del tipo: uomo carino e ben vestito=bravo, ragazzo con le collane e il cappellino=inaffidabile, donna in abiti eleganti=provocatrice e poco intelligente.
Il terzo problema è di natura semantica. Che cosa vuol dire “Sei pulito e perbene”? Interpretarla come “hai un viso pulito, sei un bravo ragazzo, puro e per l’appunto perbene” mette d’accordo tutti. Oppure si potrebbe intendere che “pulito” sia stato inteso come “dall’anima pura, gentile, educato, non corrotto”. In ogni caso il problema sussiste, perché accostando “pulito” e “perbene” a “carino”, emerge un percorso generativo dell’enunciazione (Greimas e Courtès 2007) in cui l’idea chiave è che anche ciò che sei dentro dipende dal tuo aspetto fisico. Vuol dire insomma che se sei carino, hai una faccia pulita, senza brufoli, senza imperfezioni, piacevole alla vista, allora sei anche educato, rispettabile e infatti meriti un invito a Domenica In. Si immagini il caso in cui sul palco ci fosse stata una ragazza/o (anche lei/lui talentuosissimo come Romano) nata/o con la pelle grassa, i brufoli e il viso che suda, in quel caso non sarebbe stata una persona perbene, dato che non possedeva un viso carino per convenzione?
Poniamo il caso che una ragazza si fidanzi con un ragazzo e lo presenti a tutta la sua famiglia. Lo zio (o meglio la zia, esattamente come la zia d’Italia), vedendo un viso senza imperfezioni, con una pelle fantastica, un corpo magro, alto, atletico, dirà: sembra una persona carina, perbene appunto.
Ma se quello stesso ragazzo fosse di bassa statura, con il brufolo da stress al centro della fronte e magari in sovrappeso e il vostro stessa zia/zio dicesse che non sembra una persona raccomandabile? Probabilmente gli/le si risponderebbe “perché non vai oltre all’aspetto fisico, tenendo conto anche del carattere?
La verità è che proprio non si riesce ad astenersi dal giudicare l’aspetto fisico di una persona, che sia famosa o no. Questo meccanismo di riduzione a mero corpo prende il nome di oggettivazione (Pacilli 2012) e, come si è dimostrato, agisce su donne e uomini in egual modo. Matteo Romano (o l’artista o la ragazza immagine di turno) è stato ridotto dal commento della conduttrice a un viso, a un corpo, rivelando come la rappresentazione dei media tradizionali sia ancora incollata a stereotipi corporei e ad assiologie ottuse (bello=bravo, brutto=indegno). Si continua ad ignorare il talento immateriale dell’Altro, in questo caso degli artisti, soprattutto quando appaiono in televisione privilegiando l’apparenza. Oltre ad un impoverimento generale dei contenuti, la conseguenza è la reiterazione nella mente di chi guarda del mantra secondo cui l’attenzione deve essere rivolta alle formosità, ai visi, al corpo in generale, il quale deve essere giudicato e, se si tratta di una donna, posseduto.
Link dell’intervista: https://www.youtube.com/watch?v=8SNK6wNl414.
Sandro Marotta