Uno degli atti più nefasti di body shaming pertiene al campo semantico della poesia; laddove troppo spesso, non riuscendo a delineare né il contenuto né il contenitore, si finisce col dare una definizione approssimativa, per non dire caotica. Basta una banale ricerca su Google per vedere come in cima alla lista best seller della sezione poetica vi sia un brulicare di figure che spesso non hanno nulla a che fare con la stessa. Prendiamo en passant come esempio Francesco Sole, in cima alla lista dei libri più venduti del 2017, e Rupi Kaur che tanto spopola sul web; la caratteristica che accomuna la loro poiesis è una tendenza prosastica, tale per cui la celebre battuta di Riccardo Pazzaglia in ‘Quelli della notte’ viene erroneamente presa alla lettera:
« poeta è uno che va a capo non come gli altri ».
Questa frase di contro dice molto sull’evoluzione di questo genere letterario che sta vivendo uno stallo editoriale notevole, per un mercato in cui c’è più gente che scrive di quanta effettivamente è disposta a leggere; arrivando ad incollare la fascetta di poesia al primo che va di tanto in tanto a capo o che esprime il più banale sentimentalismo da social network.
Per delineare meglio i confini di questo abusato genere letterario si consiglia la conferenza ‘Dalla rapsodia al rap. Come funziona la poesia antica’ tenuta da Massimo Manca, professore associato dell’Università degli Studi di Torino, in data 18 novembre 2020 presso il Club di Cultura Classica – Ezio Mancino (è disponibile la versione integrale dell’intervento sul canale YouTube dell’associazione). Uno degli aspetti centrali del cambiamento intercorso, rilevabile anche dalla frase di Pazzaglia sopra citata, è la predominanza dell’aspetto visivo su quello ritmico; una tendenza che ha preso particolarmente piede dalle avanguardie storiche, si pensi ai celebri Calligrammes di Apollinaire. Tutto ciò fa sì che i concetti di melodia e di metrica, da elementi costitutivi, vengano relegati a meri accessori, finendo con l’abusare del verso libero e del verso sciolto, spesso idolatrandoli. Peccato che in ambito letterario l’aspetto formale è costitutivo e crea significato; togliendolo non soltanto si perde la sostanza, ma s’incorre nella banalizzazione della stessa. In altre parole una comune accozzaglia di frasi può diventare facilmente “poesia”; sulla logica di questi soprusi il professor Manca ironicamente dimostra come anche una generica pubblicità di un frullatore possa diventare, andando di tanto in tanto a capo e ricostruendo una sovrastruttura ritmico-fonica, una “poesia”.
Un altro aspetto specifico della poesia contemporanea è il ripiegamento nella dimensione privata, d’origine prettamente romantica; accostando l’immagine del poeta a quella dell’eremita meditabondo, chiuso nella dimensione privata e privativa del suo ego, che cerca l’elemento catartico in una concezione autoreferenziale della letteratura. Non che nell’Antichità non vi fosse spazio per la poesia lungamente vegliata e pensata, la grande epica virgiliana, e non solo, ne è palese dimostrazione; ma il tenui discrimine, per dirla con Stazio, era legato alla sua divulgazione in ambito sociale. Infatti che si trattasse di un pubblico piccolo, da un simposio ad una festa, fino ad arrivare all’universalità ambita dalla grande epica, l’orizzonte d’attesa era pubblico. La stessa strategia letteraria del ripiegamento sull’io aveva come fine ultimo quello di renderlo noto al pubblico; si pensi come in un’epoca successiva anche il Petrarca alla fine della celebre ‘Chiare, fresche et dolci acque’ senta la necessità di « uscir del boscho, et gir in fra la gente ». Un aspetto costitutivo della figura del rapsòdo, recitatore e cantore nella Grecia Antica di componimenti poetici, era quindi la dimensione acustica e, in particolare, l’improvvisazione; il poeta non soltanto mostrava la propria arte o tékhne pubblicamente, ma utilizzava degli stilemi e delle strategie che lo accomunano quasi più facilmente ad un rapper odierno che non ad un poeta contemporaneo. Per intenderci possedevano un prontuario mentale di formule passepartout riciclabili specialmente nell’improvvisazione, ma utilizzabili anche durante la stesura, si pensi per esempio alle celebri formule omeriche. L’improvvisazione stessa e la dimensione sociale della performance artistica ricordano le attuali gare di freestyle; dove spesso e volentieri i rapper si cimentano in dissing, solitamente pregni dell’immancabile insulto alla madre altrui, quali vere e proprie invettive paragonabili ai passati psògos.
I moderni rapsòdi non si appoggiano più sugli illustri piedi dell’esametro, ma su beat afro-americani; non si abbeverano più alle alte fonti dell’Elicona beotico ma a quelle dell’Evian e snobbano la seducente Erato cantando su ispirazione di muse mondane. Ignari di queste affinità con la tradizione, ripudiano lo snobismo di una poiesis nevrotica, impregnata di romanticismo e chiusa a riccio su se stessa quale esercizio di ego-assoluzione; forse anch’essi chioserebbero parafrasando Benjamin Horne, personaggio della serie televisiva statunitense ‘I segreti di Twin Peaks’:
« l’ammirazione è per i poeti e per le mucche da latte ».
Andrea Giraudo