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Unione Europea, Italia ed emergenza sanitaria: veloce accenno agli strumenti della ripresa

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La pandemia di Covid-19 ha messo in difficoltà tutti i Paesi dell’Ue, su tutti i piani ed in tutti gli ambiti. Specialmente in ambito economico-finanziario, sono stati (e saranno ancora) necessari degli interventi coordinati dall’Ue con il fine di arginare il più possibile i danni provocati dall’emergenza sanitaria, e allo stesso tempo di rilanciare l’economia e apportare le necessarie modifiche a livello sociale.

 

Uno degli strumenti più utilizzati dall’Unione (che affonda le proprie radici nella crisi finanziaria del 2008), per questo genere di interventi, è rappresentato dall’acquisto di una parte dei titoli emessi da uno Stato per finanziare il proprio debito, da parte della BCE, sul mercato secondario; per gli operatori finanziari assume il significato di “garanzia”, per l’acquisto a loro volta dei titoli emessi da uno Stato membro dell’Eurozona. Questo tipo di manovre finanziarie rappresentano per gli Stati membri uno strumento per contrastare la recessione e stimolare la ripresa economica, attraverso la spesa pubblica. Vediamo in maniera molto superficiale quali sono gli ultimi programmi avviati dall’UE a sostegno degli Stati membri.

Nel caso del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), concepito e messo in funzione appositamente in seguito all’insorgere della pandemia, nel periodo compreso tra Marzo 2020 e Aprile 2021 le Banche Centrali nazionali e la BCE hanno acquistato poco più di 1000 (Mille) miliardi di Euro di titoli.

La manovra sopra citata ha destato reazioni diverse da parte dei diversi Stati dell’Eurozona, soprattutto per quanto riguarda le risposte che hanno richiesto un intervento politico: all’interno dell’Eurozona le differenti concezioni hanno portato molteplici difficoltà nel coordinare le misure predisposte dal PEPP: i Paesi del Nord Europa (i cosiddetti “Stati frugali”) sostenevano la necessità di fare ricorso a strumenti classici di sostegno finanziario: prestiti (da rimborsare interamente) condizionati all’impegno vincolante dello Stato nell’adottare e portare a termine riforme strutturali (sul modello del MES), con il fine di porre sotto controllo la spesa pubblica e l’indebitamento.

Dall’altro lato, gli Stati membri del Sud Europa (con Francia e Germania) hanno sostenuto una differente soluzione basata su elementi solidaristici, che passasse attraverso il bilancio dell’UE, soluzione rivoluzionaria visto che una delle regole fondamentali in materia finanziaria, per quanto riguarda l’Ue e gli Stati, è quella che l’Unione non risponde né partecipa del bilancio dei singoli Stati membri.

Il Piano SURE (schema di sostegno ai sistemi di cassa integrazione nazionali) supera in parte l’assoluta “impermeabilità” dei bilanci nazionali nei confronti del bilancio dell’Unione. Il meccanismo, approvato nel maggio 2020 senza troppe divisioni da parte degli Stati, ha una capacità finanziaria di circa 100 miliardi di Euro. Il finanziamento del piano passa attraverso l’assunzione di obbligazioni sociali sui mercati finanziari da parte della Commissione UE; l’UE, attraverso la Commissione, emette debito, finanziandosi.

Ovviamente, il rating dei prodotti finanziari emessi dall’UE è nella quasi totalità dei casi superiore a quello dei prodotti finanziari emessi dai singoli Stati membri autonomamente: ciò agevola l’Unione nella manovra, dato che gli operatori del mercato saranno in questo modo incentivati ad investire sulle obbligazioni emesse dall’UE.

Questa forma di finanziamento da parte dell’UE rappresenta una novità.

 

Per quanto riguarda il Piano NEXT Generation UE, questo ha trovato molte difficoltà per la sua approvazione, nella “consueta” divisione tra Stati membri che propugnano soluzioni solidaristiche e Stati membri che invece vogliono continuare ad utilizzare i tradizionali strumenti di prestito, ma anche a livello politico, tra partiti progressisti e partiti conservatori. La soluzione è stata raggiunta grazie alla mediazione condotta da Francia e Germania. L’assetto del piano è stato definito dal Consiglio Europeo, dopo un lungo ed estenuante negoziato, nel maggio 2020, per poi essere tradotto in un atto vincolante nel dicembre 2020. Il piano presenta due novità rispetto alle manovre degli anni precedenti: ad una capacità di spesa molto più ampia accosta una componente solidaristica molto pronunciata. L’ostacolo rappresentato dalle norme per cui l’UE non può rispondere dei debiti degli Stati membri è stato superato dalle istituzioni della stessa, ponendo a fondamento del meccanismo l’art.122 TFUE.

Il piano ha complessivamente una capacità di 750 miliardi di Euro, la maggior parte concentrati nel c.d. Strumento per la ripresa e la resilienza (672, 5 miliardi): quest’ultimo si divide in sussidi e prestiti.

Le risorse sono ripartite secondo uno schema proposto dalla Commissione, approvato dal Consiglio Europeo. Il piano è finanziato da prestiti, contratti sui mercati finanziari dalla Commissione seguendo il cronoprogramma delle erogazioni da effettuare. Il meccanismo crea (per la prima volta) un debito pubblico comune europeo, ulteriore a quello dei singoli Stati membri. Rimane comunque un’iniziativa temporanea, con la pretesa però di aprire una nuova pagina nella storia dell’Unione, effettuando una sorta di esperimento in vista di un debito comune europeo, un domani.

I prestiti sono garantiti dal bilancio dell’UE, e si prevede che dovranno essere ripagati mediante introduzione di imposte comuni a tutti gli Stati dell’Eurozona, che al momento non sono ancora state introdotte dal legislatore europeo, e per cui già si prevedono discussioni infinite ed una divisione pressoché continua su qualsiasi proposta che verrà avanzata nel quadro della legislazione europea.

A differenza degli anni precedenti e delle manovre passate, il piano non prevede austerità; tende anzi nel senso di investire strategicamente per generare crescita sostenibile. Vi è una serie di vincoli per quanto riguarda l’impiego delle risorse: il regolamento istitutivo prevede che gli Stati debbano “spiegare” come intendono investire le risorse (nel senso dell’innovazione e della tutela dei diritti civili, sociali e politici, oltre che dell’ambiente: insomma, un’utopia politica che, se sarà rispettata, risulterà quantomeno miracolosa), e siano obbligati a destinare delle quote significative di queste in determinati obiettivi individuati dalla Commissione (in particolare, il 37% alla transizione ecologica, il 20% alla transizione digitale).

Chiaramente, il piano è visto in Italia come chiaramente orientato politicamente (il che non è nemmeno del tutto falso); a onor del vero, però, si tratta in generale di un piano di innovazione e di progresso, per “immunizzare” l’Europa dalla battaglia (senza regole né norme) tecnologica tra Russia, Stati Uniti e Cina, con una differenza: aumentare il benessere e apportare quelle modifiche che attualmente la società reclama, ma che non trovano forma e consacrazione nella politica e nelle manovre nazionali. Inutile può risultare il mio appunto, personale ma che trova continuamente riscontro, per cui ad una frangia politica di destra (quale quella presente nel nostro Paese) il piano non può che risultare ostile ai programmi di partito.

L’Italia si muove in un contesto segnato da parametri nazionali e vincoli sovranazionali: per gli ultimi, il trattato sul Fiscal Compact e il Patto Euro Plus; per quanto riguarda i primi, l’art.81 Cost. e l’impegno di mantenere l’equilibrio di bilancio statale e delle singole amministrazioni (in conformità anche alle indicazioni derivanti dai trattati europei). La modifica dell’art.81 Cost. (l.cost. n.1/2012) è avvenuta non nei drastici termini del “pareggio di bilancio”, che va verificato rigidamente anno per anno tenendo conto della spesa dell’anno precedente, ma in favore del più flessibile “equilibrio di bilancio”, che permette valutazioni a lungo termine, tenendo conto delle fasi avverse e favorevoli del ciclo economico, aprendo così agli scostamenti (con il presupposto però di rientrare quando la situazione economica lo consente).

Attualmente, rispetto agli anni passati, il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico. I paletti posti alla procedura sono molto rigidi, occorrendo la previa autorizzazione delle Camere, a maggioranza assoluta. Quali sono i modi per far fronte a un’emergenza economica ricorrendo a nuovo indebitamento, applicando l’art.81? La legge di attuazione n.243/2012 fissa i presupposti per l’applicazione. In ogni caso, in base alle indicazioni della Corte costituzionale, esiste un’elasticità nell’applicare i vincoli di bilancio che riguardano il livello complessivo di indebitamento dello Stato e degli equilibri di bilancio delle singole amministrazioni. La sentenza 275/2016 sancisce l’incomprimibilità della tutela dei diritti fondamentali giustificata in modo generico dall’esigenza di rispettare l’equilibrio del bilancio: ancora una volta, questa sentenza è stata accolta in modo molto differente dai diversi partiti, proclamando che certi diritti (non individuati però dal legislatore e nemmeno dalla Corte, e quindi suscettibili dei capricci dell’interprete e dell’operatore giuridico) non possono essere “sacrificati” in virtù del rispetto dell’equilibrio del bilancio (sacrificandone però altri? A questo interrogativo manca ancora una risposta, ma la prassi si muove nel senso di valutare caso per caso la comprimibilità o meno del diritto, ed il bilanciamento con altri diritti e situazioni concrete).

Prima della pandemia, lo Stato italiano si era assunto l’obiettivo di medio termine, per il triennio 2021 – 2023, di spendere ogni anno poco meno (0,5%) di quanto incassato (PIL). In un anno, si è fatto ricorso per 7 volte allo scostamento di bilancio. A fine 2021, il debito pubblico italiano raggiungerà la cifra più alta mai raggiunta nell’ultimo secolo (159,8%), un dato che può allarmare per quanto riguarda la situazione politica e sociale, ma che non deve portare a pensare a scenari necessariamente cupi. L’OMT formalmente è stato mantenuto, ma è stato differito nel tempo il suo raggiungimento, corretto con l’impatto del ciclo economico, al netto delle misure di bilancio (una tantum). Le risorse ricavate dallo Stato sono state in parte utilizzate per i Decreti Sostegno, e ormai quasi esaurite.

Apriamo una parentesi sul MES, che ha scatenato un dibattito politico furioso ed all’insegna dell’ignoranza (persino sui propri atti e azioni passate, nel caso di qualche esponente in particolare): esso non è un istituto dell’UE; da essa è stato solo “assorbito”. Il Mes è un Patrimonio, un insieme di Euro depositati, sulla base del quale possono essere concessi dei prestiti (un vero e proprio fondo); è anche un’organizzazione inter-governativa, nascente da un trattato tra Stati. Giuridicamente, è una società finanziaria, di diritto lussemborghese.

Eroga prestiti ai Paesi membri in difficoltà, entro il massimo di 700 miliardi di Euro, a fronte di accantonamenti versati da ciascun Paese di 80 milioni di Euro. Può acquistare anche debito pubblico, condizionando gli acquisti a politiche macroeconomiche concordate e a meccanismi di controllo che vigilano sull’opportunità e l’adeguatezza della manovra.

A fronte delle polemiche suscitate dalle situazioni (soprattutto politiche) create da chi attinge al Mes, si è fatto ricorso ad un’attenuazione delle procedure di controllo e delle condizioni a cui è subordinato il prestito. Il controllo in questione, oggetto di feroce critica, è svolto dalla Commissione, dalla BCE e dal FMI (se si è richiesta assistenza anche a tale istituzione).

Pochi Paesi hanno fatto ricorso a questo strumento, tra cui i “PIGS” (Grecia, Spagna, Portogallo, che in virtù di questi prestiti vennero considerati dagli investitori Paesi particolarmente deboli).

Con l’emergenza covid, all’interno del MES viene approvata una linea di credito significativa, da 240 miliardi di Euro, per le spese sanitarie. Le eventuali condizionalità sono decise nelle singole lettere d’intesa, al momento della concessione. Il dibattito italiano si è concentrato intorno alle condizionalità relative alle concessioni. Normalmente, vengono fissate di volta in volta, in merito alla concessione che lo Stato richiede e al progetto di destinazione dei fondi che presenta agli organi di controllo. I Reg.UE e l’art.136 TFUE richiamano l’assistenza del MES «soggetta a rigorosa condizionalità», e a «sorveglianza rafforzata». La deroga a questa rigidità in materia di condizionalità e controlli è di natura «politica», concordata in sede europea dai leader degli Stati membri e dai rappresentanti dell’Unione (con lettera d’intenti). L’unico controllo ad oggi rigoroso riguarda l’effettività della spesa in campo sanitario (direttamente e indirettamente). La deroga comunque non è sufficiente, per sua natura, a mettere “al riparo” da eventuali futuri controlli, lasciando così scoperto il Paese a future possibili sanzioni. Nel momento in cui verrà formalmente resa definitiva questa deroga, cambierà sicuramente anche la prospettiva con cui questo strumento sarà considerato dagli investitori e dagli operatori finanziari, ad oggi ancora scettici nei confronti di quei Paesi che si affidano al MES. Con “l’abbattimento” di queste strutture rigide, potrebbe inoltre aumentare l’affluenza di Paesi richiedenti prestiti e concessioni, il che rinforzerebbe ulteriormente la portata finanziaria e politica del MES.

Per ora, nonostante tutte le importanti erogazioni e la quantità strabiliante di investimenti che ci si aspetta nel futuro prossimo, non possiamo che augurarci che sia la competenza, la visione progressista e l’interesse di far avanzare la nazione, a prevalere sui conservatorismi beceri e ciechi nei confronti della realtà sociale.

Indubbiamente questi strumenti rappresentano un’opportunità, quantomeno per cercare di migliorare le basi e i presupposti del Paese, nell’interesse dell’Unione e degli altri Paesi membri, oltre naturalmente che nel nostro.

 

L’emergenza Covid ha portato difficoltà enormi e ha stravolto la società e l’economia; dall’altra parte, ha anche gettato i presupposti per “voltare pagina”: che questa azione dell’Unione possa essere un manifesto per chi, giovani e intraprendente, voglia rappresentare il cambiamento e la nuova, prospera, Italia e Unione europea.

Gabriele Lacanna

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