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UNO SGUARDO FUORI DALLA CONTEA

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Lunedì 30 novembre e martedì 1 dicembre 2020 si è tenuto il convegno ‘Fallire sempre meglio: tradurre Tolkien, Tolkien traduttore’ organizzato dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento in collaborazione con l’AIST, Associazione Italiana Studi Tolkieniani. L’opera di Tolkien è inevitabilmente un crocevia per moltissimi autori del XX secolo, e non solo; ha inoltre ottenuto un successo mondiale grazie anche alla sua diffusione transmediale, soprattutto con la trilogia cinematografica diretta da Peter Jackson. 

Tolkien è un autore complesso, in grado di spaziare dalla filologia alla narrativa e capace di trattare le grandi tematiche della letteratura di inizio XX secolo in maniera più accessibile, ma non per questo più banale. Il suo stesso fantasy, etichetta sommaria, è frutto di un melting pot culturale capace di ridare vita ad antiche mitologie e crearne delle nuove; una sfida letteraria ambiziosa che Ottavio Fatica, traduttore italiano della nuova edizione de ‘Il Signore degli Anelli’, definisce come forma di « realismo estremo che non lesina il particolare ». Tolkien riesce a creare, per ricalcare le sue stesse parole, un mondo secondario attribuendogli valenza primaria; ed è anche per questo motivo che Wu Ming 4 (alias Federico Guglielmi) definisce la sua opera come forma di ‘realismo fantastico’, citando il saggio tolkieniano ‘Sulle fiabe’:

« La Fantasia creativa si fonda sulla dura consapevolezza che le cose sono proprio così nel mondo, quale esso appare alla luce del sole; su un riconoscimento del dato di fatto, ma non sul divenirne schiavi »

La traduzione è di per sé un lavoro molto complesso e delicato, in quanto non si limita ad ospitare il testo originario in una lingua altra, ma è un modo per riattivare un’opera in un diverso contesto. Se a questo si aggiunge la difficoltà di un linguaggio autoriflessivo e tautologico, colmo di arcaismi, dove lo stesso testo originale inglese non sarebbe altro che una traduzione dalla lingua hobbit; ciò mostra quanto sia importante in Tolkien il processo traduttivo e quale mole di lavoro comporti per il traduttore. Fatica ha saputo raccogliere il guanto della sfida con una traduzione vagliata e articolata, per quanto non ci si debba mai dimenticare che non esiste una traduzione assoluta, ma ne esistono semmai infinite perfettibili; si tratta tuttavia di una resa sicuramente più pregevole rispetto a quella precedentemente curata da Vittoria Alliata, pur risentendo di un maggiore affettività da parte del grande pubblico. Ma i sentimentalismi rischiano talvolta di essere fini a se stessi; in altre parole ogni nuova traduzione richiede di uscire fuori dall’appagante ed appagata contea nella quale ristagna.

Per ragioni di tempo e di spazio, sulla scia del brillante intervento di Marco Picone dal nome ‘Il nome della mappa. Traduzioni cartografiche del mondo di Tolkien’, si analizzeranno otto toponomi della terra di Arda nelle rispettive traduzioni di Alliata e Fatica. Perché, come insegna Tolkien, prima della storia bisogna delineare la mappa, strumento essenziale per orientarsi in un luogo sconosciuto; ma un vincolo più pregnante lega la vicenda narrata alla cartografia, ovvero la peculiarità dei personaggi tolkieniani di parlare come mappe, istaurando una correlazione indissolubile tra parola e immagine. 

  1. Barrow-Downs è tradotto in Alliata con Tumulilande; in Fatica con Poggitumuli.

In questa situazione Tolkien aveva specificato di tradurre a senso, cioè bassi o discese di alberi con tumuli; pertanto la traduzione di Fatica, pur invertendo i due termini del composto, pare più affine all’originale. In più l’utilizzo di ‘poggio’, derivante dal latino podium, con il significato di elevazione del terreno dalla forma tondeggiante è di età medievale, in linea quindi con una tendenza tolkieniana arcaicizzante; il termine ‘lande’ utilizzato da Alliata, seppur di origine celtica, è improprio ed impreciso.

  1. Bree è tradotto in Alliata con Brea; in Fatica con Bree.

 Si tratta di un toponimo inglese di origine celtica dal significato di collina, di difficile traduzione; pertanto la scelta di conservare il termine originale appare più idonea, in particolare per la conservazione dell’alterità percepita anche a livello diegetico dagli Hobbit. L’italianizzazione forzata di Alliata non è molto convincente, dal momento che evoca un cognome o tutt’al più un’antica città della Tracia.

III. Entwood è tradotto in Alliata con Entobosco; in Fatica con Bosco di Ent.

In questo contesto le traduzioni sono entrambe interessanti; perché Alliata riesce a conservare un composto, costrutto caro a Tolkien, seppur forzando con quella ‘o’ di congiunzione; Fatica invece lo rende più esplicito, anche se forse si potrebbe preferire la forma ‘degli Ent’, in quanto si tratta di un popolo.

  1. Farthings è tradotto in Alliata con Decumano; in Fatica con Quartiero.

Storicamente indica ‘un quarto’ di penny e, essendo un toponimo, va a designare un quartiere, parola che in epoca medievale e rinascimentale indicava per l’appunto una delle quattro parti, ricavate dall’incrocio tra il cardo ed il decumano, in cui veniva suddivisa la città; la versione arcaicizzante proposta da Fatica è quindi nettamente migliore, mentre Alliata è completamente fuori tema. Interessante è il british humor (Tolkien direbbe hobbit humor) sotteso nell’utilizzo di questo composto, dal momento che s’impiega un termine propriamente urbano per designare la ripartizione della Contea, luogo rurale e pre-industriale per antonomasia.

  1. Hobbiton è tradotto in Alliata con Hobbiville; in Fatica con Hobbiton.

È un composto di difficile resa in quanto manca in italiano un equivalente preciso per –ton (che sta per town); pertanto la scelta migliore è quella di conservare l’originale, dal momento che Hobbiville non risolve le difficoltà. Fatica ha inoltre dichiarato di aver proposto come possibili traduzioni Hobbitacolo e Hobbituro, entrambe però scartate nella revisione editoriale. Una possibile proposta alternativa potrebbe essere ‘Borgo Hobbit’, anche se purtroppo non è priva di imperfezioni.

  1. Mirkwood è tradotto in Alliata con Bosco Atro; in Fatica con Boscoscuro.

Si tratta di un prestito dall’antico germanico per il quale Alliata riesce a rendere bene il tono poetico ed arcaizzante; Fatica tuttavia mantiene intatto il composto, avvalendosi di un aggettivo che riecheggia metaletterariamente la selva dantesca.

    VII. Rivendel è tradotto in Alliata con Gran Burrone; in Fatica con Valforra.

Il termine è sinonimo dell’inglese Cloven-dell, ovvero ‘valle spaccata’; pertanto la traduzione di Alliata, per quanto più evocativa, è lontana dal significato originale. Fatica riesce magistralmente a mantenere il composto utilizzando una parola d’origine longobarda come ‘forra’, indicante una gola profonda a pareti verticali creata per mezzo dell’erosione di corsi d’acqua (si pensi alla sua rappresentazione cinematografica).

VIII. Wilderland è tradotto in Alliata con Terre Selvagge; in Fatica con Selvalande.

Entrambe sono valide alternative; tuttavia Fatica, coerentemente sia con le sue scelte traduttive sia con le preferenze di Tolkien, mantiene intatto il composto.

Uno dei rischi delle nuove traduzioni è sicuramente quello di urtare la sensibilità, o meglio la comfort zone, del lettore affezionato, avvezzo ad una lettura epidermica; tuttavia le nuove traduzioni sono inevitabili per la vitalità di un testo e non solo. Il mondo cambia, così come le persone, il loro modo di pensare e in ultima istanza il loro linguaggio; tradurre vuol dire anche, e soprattutto, aver cura di questo. Per ‘Il Signore degli Anelli’ con la traduzione di Ottavio Fatica si è compiuto un salto di qualità notevole, con una lettura più profonda dell’opera di Tolkien; un lavoro che avrà però ancora molto da mettere alla luce. Certamente col passare del tempo acquisiranno una maggior rilevanza gli aspetti geografici e cartografici; perché come ci ricorda Picone, e ancor prima Tolkien nelle sue stesse opere, la geografia è politica.

 

Andrea Giraudo

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